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“Dalla radio ai social network la leadership resta decisiva”, intervista all'Ambasciatore USA

Rappresentante Usa in Italia David Thorne è ambasciatore in Italia dall’agosto del 2009

L'Ambasciatore USA David H. Thorne

Roma, 16 settembre 2012

La seguente intervista è apparsa sul quotidiano "La Stampa" del giorno 16 settembre 2012

L’ambasciatore Thorne: le lezioni che ho imparato in campagna con Kerry nel 2004

Le campagne elettorali cambiano, diventano più tecnologiche, abbracciano i social media. Ma guai a pensare che siano determinate solo dalle strategie o dalla capacità di sfruttare i nuovi mezzi di comunicazione. «I candidati restano candidati, cioè esseri umani su cui ciascuno di noi cerca di farsi un’idea, per poi prendere una decisione. Alla fine contano molto un paio di fattori: la fiducia e l’attrattiva che riescono a trasmettere». Parola di David Thorne, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia e profondo conoscitore della macchina elettorale americana. Appassionato di campagne presidenziali – quella attuale la racconta con un blog su «La Stampa» (lastampa.it/usa2012) –, è stato anche in prima linea nella corsa alla Casa Bianca, nella squadra del democratico John Kerry nel 2004.

Ambasciatore, le convention hanno lanciato la volata finale verso il voto. D’ora in poi contano più i sondaggi o il tasso di disoccupazione?
«I sondaggi non vanno mai presi troppo sul serio prima delle convention, è adesso che la gente comincia davvero a pensare al voto. E il dato nazionale negli Usa ha un valore relativo, contano i numeri dei singoli stati. Quanto al tasso di disoccupazione, l’economia è una questione centrale in ogni Paese del mondo, e quindi anche in America. Negli ultimi due-tre mesi è rimasto più o meno costante, se restasse tale non credo avrà molto peso. La gente ora sta cercando di decidere se mantenere questa direzione o cambiare».

Ottobre è il mese dei dibattiti: quanto contano nel convincere gli elettori?
«Quando si pensa ai dibattiti, la memoria va sempre a Nixon-Kennedy del 1960. Ricordo di aver visto quel dibattito quando avevo 15 anni, ha avuto un effetto potente. Oggi però i candidati sono così preparati che è difficile pensare a risultati clamorosi. A meno che uno non faccia errori come Dan Quayle, che si paragonò a Kennedy e offrì all’avversario Lloyd Bentsen, che aveva lavorato con Jfk, la possibilità di replicare: “Lei non è Kennedy”. Ci sono dibattiti che cambiano le dinamiche. Il primo faccia a faccia tra Kerry e Bush fu tra questi: lo so per certo perché vidi i sondaggi il giorno dopo, cambiò le elezioni. Ma di solito non modificano molto lo scenario e questo avvantaggia chi è testa nei sondaggi».

Il candidato perfetto deve saper parlare al cuore, alla mente e al portafo­gli dell’elettore: quale di questi ele­menti prevale nel sistema americano?
«Sono tutti e tre importanti, in modo diverso. Alla fine sui candidati si viene a sapere tutto quello che c’è da sapere e la questione diventa: di chi mi fido e chi mi attrae di più?».

Condivide il giudizio di chi ritiene che le emozioni abbiano un peso maggiore nelle elezioni americane rispetto a quelle europee?»
«Senza dubbio nasce un legame anche emotivo, scatta qualcosa che ti dice: “quello è il mio candidato, lo voto”. È vero che ci sono più emozioni del genere nelle elezioni americane che in sistemi parlamentari come quelli europei».

In questo periodo anche in Italia si par­la molto di primarie. Cosa può insegna­re l’esperienza che ne ha l’America?
«Non possiamo insegnare niente all’Italia. Il sistema italiano è quello che è ed evolverà per trovare la propria strada. Certo, l’idea di elezione diretta avrà un sempre maggior impatto in Europa, grazie anche ai nuovi media e alla tecnologia. Penso sia inevitabile alla fine che si vada verso un legame più diretto tra elettori e candidati. Non so come avverrà, ma la direzione è quella».

L’evoluzione che i social media stanno dando alle campagne elettorali finirà anche per cambiare il profilo stesso dei politici vincenti?
«I media hanno sempre giocato un ruolo fondamentale, dai tempi dei poster e delle spille, alla radio, la Tv e ora i social media. Le nuove tecnologie portano un nuovo elemento alla politica, ma non dominano sul resto. Alla fine contano gli esseri umani. Ma stiamo vedendo una continua evoluzione degli strumenti. Nel 2004, durante la campagna del senatore Kerry, non c’erano Facebook o YouTube. Ora ci sono, con Twitter, Tumblr, Reddit e chissà cosa arriverà. La lezione che ho imparato nella campagna Kerry è l’interazione tra media. La tv si usa in un modo, i social in un altro, la radio in un altro ancora, poi li usi tutti per interagire e spingere da un medium all’altro».

Come cambierebbero le relazioni Usa­ Italia nel caso di un cambio di presidente alla Casa Bianca?
«Il nostro rapporto con l’Europa è lungo e duraturo, così come lo è la nostra relazione con l’Italia, a prescindere da chi siede alla Casa Bianca. Quale che sia l’esito della campagna, sono sicuro che non ci sarà alcun cambiamento drammatico nei rapporti degli Usa con Europa e Italia. Siamo alleati e continueremo a esserlo».

Intervista di Marco Bardazzi